Ripeto a me stessa che dovrei registrare ciò che penso nel momento esatto in cui lo penso. Pochi minuti fa percorrevo la strada di casa osservando le luci precarie sui pali della corrente. Ogni anno il natale sembra arrivare troppo presto, sempre prima. Ogni anno si sente la gente (io sento mia madre, giuro, ogni anno) ripetere: “già le vetrine addobbate?”. Ma certo. Come ogni anno, appunto. Altra tipica frase: “un inverno così freddo non si è mai sentito”. E invece lo sento dire da quando avevo circa sei anni e oggi ne ho trenta. Dovremmo essere scesi a una temperatura vicina a quella dei poli. D’altra parte le estati sono sempre più calde e sebbene sia vero che ci stiamo tropicalizzando, (pur in mancanza delle tipiche palme da tropico, essendo rimasti da noi solo i moncherini) è anche vero che a me sale la febbre solo a sentir parlare di tanta vacuità. Osservazioni da messa in piega, da tinta e tiraggio. Sarà forse che il natale arriva prima solo per spingere la gente a comprare? Sarà. Sarà che a me fanno venire una tristezza indicibile questi addobbi riciclati dall’anno prima appesi precariamente ai pali della luce. Queste lucine azzurre semi-fulminate che dovrebbero dare l’impressione di cadere dal cielo come piccole gocce d’acqua argentata. Queste stelle comete che lampeggiano come le insegne delle farmacie (dall’interno all’esterno, che se per sbaglio le fissi per più di mezzo minuto sei totalmente ipnotizzato, pronto a uccidere a comando). E i babbi natali? Arrampicati sulle finestre a sgomitarsi (c’ero prima io! No io! No io!). E intorno musi lunghi, commercianti appollaiati fuori dei negozi, macchine parcheggiate sui marciapiedi e in lontananza un bellissimo tramonto blu scuro intrecciato ai rami di alberi spogli e – fortunatamente – non meritevoli di essere addobbati.
Torno a casa con un acquisto libresco, oggi mi sono premiata così. Non so se avrò mai il tempo di leggere tutto ciò che attira la mia fame, la mia curiosità, la mia voglia di essere altrove e – in fondo – spero di non averlo. Spero di essere sempre indietro di un libro, di una nuova avventura, di nuove prospettive di vita. Perché ciò mi rende felice e mi arricchisce. Questo bucare lo strato superficiale di un mondo per scoprirne altri cento. E ogni volta è un velo che cade dolcemente al suolo svelandone un altro al suo interno. Un’infinita matrioska di mondi, universi collegati da sottili convergenze a noi ignote che ci fanno presentire l’esistenza di altro fuori di noi. Intorno a noi. E dentro le nostre emozioni.
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