Accanto a me una tisana fumante. Penso in questi giorni di aver girato intorno al blog come un cane randagio gira intorno al suo osso, temendo di azzannarlo. Un timore infondato, ma a forza di girare ho scavato un solco abbastanza profondo dal quale, come al solito, ho difficoltà ad emergere.
Vorrei avere in certi momenti la lucida chiarezza di Nell. Lei, che considerava i libri come ricettacoli di candide invenzioni, ha sempre usato parole appropriate alle circostanze. Ha sempre chiamato le cose con il loro nome. Non dovrebbe esserci nulla di più semplice e immediato e invece è sempre così difficile dire a se stessi la verità. Raccontarla senza distorsioni, senza troppi giri di parole.
Mi accorgo ancora una volta di avere un'intrinseca difficoltà di dirmi, anche attraverso uno spazio vuoto come questo, in cui sono sola. La verità è che ho bisogno di dare a qualcuno. Credo che sarei una buona scrittrice di lettere. Ne ho scritte molte in passato, conservando però solo in parte quel fitto epistolario in cui, con un po' d'impegno, potrei anche trovare materiale per un libro.
Che poi, chiamarlo "materiale" mi fa un po' tristezza, come se scrivere fosse una raccolta punti del latte. Continuo ad avere con la scrittura questo rapporto ambivalente di magnetica attrazione e repulsione. Scrivere è come spogliarmi davanti a uno specchio e toccare tutte le corde del mio corpo e sentirne ogni segreta vibrazione. L'epidermide in fondo non è altro che un involucro, talmente perfezionato e sensibile, che comunica con noi attraverso le sue più remote profondità. Siamo come grandi città sotterranee piene di porte e scale. Lo descrive bene Buzzati ne Il Grande Ritratto questo gorgogliare oscuro di una coscienza ignota.
E non c'è niente da fare. Ogni parola che dico vive dentro un libro che leggo.
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