giovedì 20 giugno 2013

Di letture e risotti

Difficilmente abbandono un libro, sebbene sia uno dei diritti enumerati da Pennac. Più che un diritto lo reputo un ottimo consiglio, perché la lettura dovrebbe essere sempre un piacere, per cui trasformare un momento di piacevolezza con il tedio e l’insoddisfazione è piuttosto da masochisti. Devo dedurne di essere una lettrice masochista, perché anche se a volte mi accade di venire meno a quello che reputo un “impegno” con lo scrittore – quello di dedicargli tempo e attenzione – la maggior parte delle volte arrivo tenacemente alla fine, esausta. Non so se lo faccio per riservarmi il diritto di criticarlo fino in fondo oppure perché non voglio precludermi nulla, aggrappata fino all’ultimo alla speranza. Quella di non aver sprecato il mio tempo, probabilmente. O forse c’è una spiegazione più semplice: l’intenzione di dedicarmi a detestare qualcosa.

In questo periodo mi sto dedicando a detestare l’Allende, per esempio. Avevo abbandonato i suoi libri subito dopo aver letto l'autobiografia, abbastanza deludente. Della scrittrice cilena ho però un ottimo ricordo della trilogia degli "spiriti", la saga famigliare che attraversa oceani ed epoche per culminare con la dittatura e una nuova generazione di donne pronte a lottare. Le figure femminili sono infatti centrali nelle opere della Allende ed è il motivo principale per cui mi sono lasciata convincere dal romanzo Eva Luna, acquistato di recente su una bancarella. Purtroppo il personaggio, che la quarta di copertina descrive come ribelle e fuori dalle righe, è un soggetto di scarsa profondità e il romanzo stesso è una sequela di fatti che sembrano volersi scollare dalle dure implicazioni del reale, assecondando un'opportunistica neutralità della scrittrice. Non dimentichiamo infatti chi è l'Allende e cosa rappresenta per il Cile. Con un nome così importante mi sarei aspettata uno spessore diverso e soprattutto una riflessione sul contesto storico e sociale, dal momento che il romanzo è ambientato durante la dittatura. La sua piccola eroina è invece una creatura leggera e tale leggerezza viene estesa al mondo che la circonda, trasformando tutto in un'opera di sconcertante vacuità. Tante, molte parole scritte per dire poco o nulla. Oltretutto la posizione della scrittrice rispetto agli avvenimenti successivi la dittatura mi hanno lasciata abbastanza perplessa; semba che la Allende non abbia voluto sbilanciarsi e che quando lo abbia fatto sia stata invece velatamente critica nei confronti dell'opposizione nata a contrastare il governo successivo a Pinochet. Un'opposizione ancora fortemente viva nel Cile attuale.

D'altra parte la cara Isabel vive e prolifca nello stesso paese che ha sostenuto la dittatura nella sua terra e che ha voluto e provocato la morte di Salvador Allende. Perché mi ricorda qualcuno?
 
Insomma, la coerenza è una merce rara. Ce lo ricorda Ken Loach con questo corto realizzato dopo l'attacco alle torri gemelle e raccolto nel film 11.09.11.


 

Risotto con totani e zucchine

Invece dei soliti gamberetti (o gamberoni per gli intenditori) perché non provare i totani? Ho acquistato dal mio pescivendolo quattro totani piccoli e ne sono rimasta talmente soddisfatta che difficilemente tornerò al gamberetto nella felice accoppiata con la zucchina. Lo consiglio, è un primo semplice e dal deciso sapore di mare, che a me fa tanto sentire in vacanza.

Ingredienti per due persone:
 200 gr di riso (io thai)
4 totani piccoli e teneri
1 cipolletta fresca
2/3 zucchine
brodo vegetale
vino bianco
burro q.b.
sale
olio


Tritare la cipolla e farla soffriggere in poco olio. A parte tagliare le zucchine a quadretti e tenerle da parte. Mettere nel tegame i totani tagliati a rondelle con i loro tentacoli e far cuocere a recipiente coperto fino a quando avranno rilasciato il loro liquido. In questa fase non aggiungere né vino né brodo. Successivamente sfumare con un po' di vino e lasciar andare per qualche altro minuto. Aggiungere le zucchine e mescolare. A piacere unire il prezzemolo o l'erba cipollina, io ho dimenticato questo passaggio, purtroppo. Entrambe le erbe andrebbero aggiunte alla fine affinché mantengano sapore e sostanze, ma in genere lo faccio sia prima che dopo perché mi piace l'idea che l'erba si mescoli con ciò che sto cucinando.

A parte sciacquare il riso per almeno tre volte sotto l'acqua corrente e unirlo al condimento. Mescolare, aggiungere un po' di brodo e continuare a mantecare integrando liquido fino a cottura. Alla fine unire un pezzetto di burro per rendere il piatto cremoso, senza però appesantirlo troppo. Decisamente da rifare!

venerdì 7 giugno 2013

Non ci vuole niente a distruggere la bellezza

Non mi piacciono: gli alberi tagliati od estirpati come se fossero cose inanimate; i cani chiusi dentro i recinti; i bambini tirati per un braccio. I cibi precotti, i fiori finti, i vasi pieni di erbacce. I mariti, compagni, gli uomini che non sanno accogliere una donna; le persone che non sorridono mai e non si affacciano a guardare il mondo, non viaggiano, non leggono, non regalano una pianta o non si sporcano le mani per creare qualcosa di bello. Non mi piace sentirmi dire "è tardi" "è inutile" "è una perdita di tempo". Non mi piace mangiare con chi lo fa in silenzio, con chi separa i cibi nel piatto, con chi non è curioso di sapere cosa si porta alla bocca. Non mi piace chi critica il prossimo e non si sforza di cambiare se stesso.

Avevo voglia di dirlo, dopo mesi di silenzio, perché a volte è giusto rispondere al bisogno di usare la negazione per affermare qualcosa di bello. Alla faccia di chi con il brutto ci convive senza avvertirne neanche il prurito. Per me quel prurito è come una bussola che mi permettere di non perdere una briciola di bellezza, cercando di comprenderne il valore nella sua fragilità. In quel bellissimo film di Marco Tullio Giordana, I cento passi, Peppino Impastato comprende qualcosa di semplice eppure di rivoluzionario: bisognerebbe ricordare alla gente cos'è la bellezza, aiutarla a riconoscela, a difenderla. (...) La bellezza, è importante la bellezza, da quella scende giù tutto il resto.
Difendere questo valore gli è costato la vita.

Il rischio, all'opposto, è quello di abituarsi alla bruttezza, all'arroganza. All'ingiustizia. Come quella subita da Stefano Cucchi, pestato a morte; un'ingiustizia che continua a rinnovarsi e a sollevare lo sdegno di tutti coloro che non possono e non vogliono accettarla.



Zuppa di pesce
Ingredienti per due persone:

1 moscardino
2 calamari
scampi
cernia
spinarolo
vongole veraci
passata di pomodoro
erba cipollina
aglio
vino bianco
peperoncino
sale

Ci sono molti modi di preparare una zuppa di pesce ma alla base c'è sempre quel brodo saporito, risultato di una cottura in cui nulla viene scartato ma piuttosto aggiunto. Le varianti e i sapori cambiano a seconda della tipologia di pesce che si decide di utilizzare: nel mio caso tutto pesce senza spine, ma ogni pescivendolo che si rispetti vi consiglierà quello spinoso dalle carni più prelibate. A dare sapore al mio piatto è accorso in aiuto il moscardino, gli scampi e delle ottime vongole veraci. Le combinazioni sono però molteplici e personali, come l'uso delle erbe e delle spezie da utilizzare.

Nel cucinare questa zuppa non ho potuto fare a meno di pensare ad alcune ricette brasiliane di Bahia, influenzata senz'altro dalle mie letture sudamericane e dal programma di Michael Palin, che ogni tanto Rai5 replica e che io continuo a guardare senza sosta.


Il pesce non richiede una cottura molto prolungata, ma bisogna stare molto attenti alle diverse "consistenze". Se non siete pratici come me, fatevelo pulire da chi di fiducia e soprattutto fatevi consigliare, non c'è niente di più bello che indugiare intorno al banco del pesce, fare quattro chiacchiere, coinvolgere le signore vicine e  farsi ammaliare dal un prestante pescivendolo.




In una pentola capiente soffriggere uno spicchio d'aglio e un peperoncino intero per qualche minuto. Aggiungere il moscardino diviso a metà e lasciarlo cuocere nel suo liquido fino ad ambratura, senza aggiungere altro. Coprire con il coperchio e lasciar andare per un po'.
Intanto tagliare l'erba cipollina (o il prezzemolo se preferite) e aggiungerla al polipetto. Quando quest'ultimo avrà rilasciato gran parte del suo liquido, integrare la passata di pomodoro regolandovi a vostro gusto a seconda di quanto la preferite sugosa. Salare con parsimonia e cuocere per una quindicina di minuti, aggiungendo mezzo bicchiere di vino bianco. Al termine (non sarà cotto, anzi, non dovrà essere cotto!) aggiungere i calamari in pezzi e lasciar cuocere per altri quindici minuti. Nel frattempo in una padella far aprire le vongole con uno spicchio d'aglio e del vino bianco. Una volta aperte, scolarle con un mestolo forato e filrtrare il liquido rimasto in padella, che andrà aggiunto al brodo della zuppa. 

Trascorso il tempo necessario, unire al brodo i bocconcini di pesce (nel mio caso cernia e spinarolo) e solo all'ultimo gli scampi e le vongole già cotte. La zuppa è pronta da portare in tavola e con due fette di pane bruscato siete in paradiso.


venerdì 1 marzo 2013

Crostatine alla prugna per restare in tema

Vorrei poter dire "ci sono poche cose che non mi vanno giù" ma non è così purtroppo.
Una di queste è trovarmi di fronte a un'insegnante stanca, arrabbiata, disamorata e piena di piccole grandi frustrazioni. So che la scuola non è più quella di una volta (per fortuna) e neanche quella che una volta si desiderava che fosse un giorno (purtroppo). Ovvero sono cadute tante barriere, si sono accorciate tante distanze ma forse proprio per questo è ancora più difficile, oggi, essere un insegnante.

E' solo un'ipotesi s'intende, da una che al massimo ha dato ripetizioni pomeridiane. Ma che è stata sui banchi di scuola, si, come tutti nell'età scolare, ma che continua a tornarci anche ora, a trentun'anni. Mi piace, studiare. Forse più di prima. E più di prima ho la capacità di comprendere chi ho davanti. Sarà per questo che sentire dalla bocca di una professoressa che "i ragazzi difficili sono merda" mi fa un po' incazzare. E' quel tipo di rabbia che nasce forse dal non aver mai avuto a che fare con situazioni del genere (tipo: "parli bene tu che non sai cosa vuol dire!") ma che comunque sale, sale e rimane senza una spiegazione. 

Scuola, lezione d'inglese per adulti vaccinati. La bidella rincorre un alunno delle medie pomeridiane, un ragazzo che ha alzato le mani, che non sente padroni e che non ha padre. Cresciuto in fretta a suon di violenza e spaccio. C'è anche questo nelle nostre scuole. E l'insegnante non può alzare la voce. Non può sospendere. Non può bocciare. Da qui l'etichetta di "merde", di gente a cui andrebbero cambiati i connotati. Già, tanto ci sono abituati. Passare da un padre assente o violento a un avvocato, a un insegnante stanco, a un carcere minorile...il passo è breve e segnato. Trasmettiamo pure a queste merde che nella vita prenderanno solo calci in culo perché sono nati merda e merda resteranno. Tramettiamogli che se non stanno seduti composti al loro banco avranno solo porte chiuse in faccia e nessuna comprensione. Si dice "so ragazzi" e lo sono davvero. Ragazzi di vita, direbbe Pasolini. Di una vita violenta. Nessuno vuole averci a che fare. 

Posso capire che assumersi il ruolo di assistente sociale è un impegno oneroso e pieno di coraggio. Ma io non accetto che un professore o una insegnante diano della merda ad adolescenti che a modo loro si difendono dalla vita attaccando. Non sono una piscologa e non scrivo romanzi, per cui non voglio teorizzare e tanto meno commuovere o impetosire. So che c'è una realtà, nelle nostre scuole, nelle stesse scuole che a volte cadono a pezzi e la cui unica pennellata di colore è data dalle porte dei bagni piene di frasi d'amore, insulti, citazioni di ragazzi che nelle ore di scuola, oltre a studiare, scarabocchiano vita.
Si potrebbe passare delle ore a leggerle.
Ebbene, c'è una realtà che non basta prenderla a calci, spostarla più in là. Non basta lamentarsi che il governo non finanzia l'istruzione e per questo i professori sono sempre più stanchi. L'insegnante per me è come un infermiere: un uomo di vocazione. E allora se il governo non ti paga o ti fa allungare le ore per arrivare a uno stipendio decente; se ti fa sudare la giornata, combattere con classi difficili in aule grigie e spente, ebbene, prenditela con il governo. Perché per me l'unica vera merda è l'insegnante che non insegna, è l'insegnante che non impara. E' l'insegnante che non tollera. E che di fronte a un'aula di persone adulte ha il coraggio di dare della merda alla giovinezza. E' come insultare la terra in cui non cresce erba ma che nel sottosuolo contiene una ricchezza. 

Ma si, oggi la crostata alla prugna ci sta tutta.


Ingredienti per circa 7 crostatine

300 gr. di farina
150 gr. di zucchero
150 gr. di burro
3 tuorli
scorza di 1 limone
marmellata di prugne rigorosamente della nonna

La crostata è come il ciambellone, ovvero un classico che ognuno fa a modo suo. E visto che a me piace riproporre il classico (jurassica inside), lasciatemi apparecchiare la tavola come una vecchia zia e servirvi una tazza di tè. Tanto più che la bellissima tisaniera in porcellana che vedete nella foto mi è stata regalata proprio da mia zia, che di vecchio non ha neanche l'ombra ed è un'insegnante combattiva (ultimamente un po' sciancata ma sempre tosta. Un bacio zietta!)

Allora, sapete tutti come si fa una crostata. Roba da non stare neanche qui a ripeterla. Tipo: unire i tuorli alla farina mescolando bene con le fruste fino ad ottenere un composto spumoso (si dice "che scrive"). Aggiungere il burro ammorbidito e la farina a cucchiaiate. Infine la scorza del limone. Mescolare il tutto con le mani, formare una palla e far riposare in frigo per una mezzora. Si, lo so. Il burro andrebbe lavorato freddo ma a me la frolla piace elastica (che frolla è? vabbè, a ognuno le sue contraddizioni).

Infine disporre porzioni d'impasto negli appositi stampini che non mi sono presa neanche la briga d'imburrare. Per una strana legge non scritta e mai tramandata, gli stampi piccoli non attaccano. Almeno i miei. E non sono di silicone (bleah!).

Cuocere in forno a bassa temperatura (io 140° in forno elettrico ventilato) per circa 8-10 minuti. Sfornare e riempire con la marmellata e decorare con rotolini di pasta sovrapposti. Infornare nuovamente e portare a cottura.




"Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori"
De André

martedì 12 febbraio 2013

Crocchette di pollo con senape e cipolla

Non scrivo ormai da più di un mese e me ne sembrano trascorsi dieci. Mi sento in parte un po' estranea a me stessa e dall'altra pigramente abbandonata a uno stato d'inerzia. Eppure il movimento, sebbene possa essere stancante, tiene sempre in qualche modo attivi, svegli, appassionati (dovrò appuntarmelo da qualche parte).
E così, anche dall'esterno mi giungono lontani rumori di sottofondo. La politica, la cronaca, l'informazione (o disinformazione) del mondo circorstante mi appaiono come una matassa confusa di voci, tutte uguali. Qualcosa mi dice che dovrebbe riguardarmi, che è un periodo importante, persino il Papa si dimette per la prima volta nella Storia. Allora cerco di tornare alle vecchie letture di riviste e quotidiani, a leggere blog e forum, a lasciare commenti, firmare petizioni (a proposito, mi ha chiamata Greenpeace per la raccolta fondi dell'ultima campagna Save the Arctic alla quale ho aderito, ma pare non accettino donazioni da chi ha un conto aperto alle Poste...) ma in fondo a tutto questo un piccolo senso d'inutilità  mi assale.
Inutilità, esattamente. 

E così anche la cucina è tornata ai vecchi bustoni dei surgelati, veloci e facili da preparare. Veloce e facile, il mantra di tutte le pubblicità. Almeno di quelle che vanno in onda su Italia 1 durante i  numerosi intervalli di C.S.I. A volte penso che mi piacerebbe annotare tutte le tragicomiche stronzante che ci vengono propinate, che nella loro palese presa per il culo hanno un non so che di triste e squallido. Squallore, altra parola che ultimamente ho sempre sulla punta della lingua non appena cerco di sintonizzarmi sul canale realtà.

In fondo, se fossi in forma smagliante non avrei mai iniziato il libro della Morante, regalo di compleanno apprezzatissimo e che solo ora inizio ad apprezzare fino in fondo. C'è qualcosa insomma che mi attrae "verso il basso", o meglio verso quell'interiorità di cui non riesco, anche volendo, fare a meno. Mi sento un po' come una bambina che resta sveglia la notte ad aspettare i propri fantasmi ma che in fondo ha una gran paura d'incontrarli. La paura di cadere non è forse attrazione del vuoto? Non è mia, è di Kundera.

Tra una chiacchiera e l'altra non posso proprio tralasciare la mia ultima raccolta di oggetto da spiaggia. Dopo la testa del robot di Laputa (qui per i dettagli), ho trovato mezzo sepolto sotto la sabbia il teschio-luce della saggia Vassilissa. Be', del teschio non è rimasta traccia, ma il bastone somiglia proprio a quello che Baba Jaga avrebbe potuto regalare a Vassilissa: bitorzoluto e annodato a una delle sue estremità, come per accogliere e incastonare un oggetto prezioso.
Questa è una storia che mi piacerebbe raccontare ma che per il momento non racconterò.
E' una storia lunga, è una storia vera. Intanto il mio teschio-luce mi accompagna fiero e luminoso e mi dice che non devo aver paura.

"Il teschio-luce non è indulgente. Alla sua luce i vecchi sono attempati, il bello è lussureggiante, lo stupido è imbecille, coloro che non credono sono infedeli, le cose incredibili sono osservate come miracoli. Il teschio-luce è una luce eterna, brilla davanti alla donna, come una presenza che le sta un po' avanti e le riporta quel che ha già trovato. E' per lei il perpetuo riconoscimento."
C.P.E.


E ora la mia prima ricetta dedicata. A te, cara nonna, che sei una donna veramente in gamba.

Crocchette di pollo con senape e cipolla


Ingredienti

500 gr di petto di pollo
1/2 cipolla
80 gr di mollica di pane
1 cucchiaino di senape
2 cucchiai di salsa di soia
80 gr di farina
80 gr di latte
1 uovo
1/2 cucchiaino di lievito in polvere
olio di semi
sale e pangrattato q.b

Questa è la ricetta che Giallo Zafferano spaccia per "Nuggets di pollo". In verità io l'ho trovata molto diversa rispetto a quella che conosciamo e che comunemente mangiamo (e diciamolo dai!) da McDonald. E a dirla tutta l'ho trovata anche molto più buona.

Come prima cosa tagliare a pezzi il petto di pollo e affettare grossolanamente la cipolla. In un recipiente ammorbidire la mollica di pane con un po' di latte e versare tutto nel mixer insieme alla senape e alla salsa di soia. Salare con cautela, la soia è molto saporita! Tritare fino ad ottenere un impasto morbido e ben amalgamato. A parte preparare la pastella: stemperare in una ciotola la farina con il latte, aggiungere l'uovo e mescolare bene. Infine unire il lievito e un cucchiaio d'olio e aggiustare di sale. 
Successivamente modellare le polpette. Io mi sono lasciata prendere la mano e ho realizzato dei veri crocchettoni di pollo, ma se volete fare dei veri nuggets dovrete dargli la tipica forma di goccia appiattita. 
Una volta realizzate le crocchette, passarle prima nella pastella, poi nel pangrattato e infine nell'olio bollente di semi per la frittura. Scolare su carta assorbente e mangiare tiepidi. 
La mostarda rende le crocchette quasi speziate, pungenti, ma allo stesso tempo dolci e morbide grazie alla  mollica e al latte. Se non amate la cipolla vi consiglio di non tritarla, ma l'accostamento è davvero squisito!
Ho trovato buona anche la pastella che generalmente non uso per fritture come questa, limitandomi a una passata rapida nella farina, poi nell'uovo sbattuto e infine nel pangrattato. In questo caso, anche grazie al lievito, si avrà una panatura un po' più spessa ma ugualmente croccante e...vabbè, stavo per dire delicata ma mi sono fermata in tempo...


venerdì 4 gennaio 2013

Lebkuchen

L'idea era quella di preparare i biscotti speziati prima di natale e pubblicare la ricetta a ridosso delle feste, in modo che anche il mio blog potesse dare il suo contributo al luculliano banchetto allestito sul web. Invece sono arrivata come Cenerentola, ovvero con il mio solito ritardo proprio quando dalle ricette natalizie si è passati al sano riciclo di panettoni, lenticchie e cotechini.

Com'è nel mio stile, non ho prestato ascolto ai buoni consigli di nessuno e tra un lavoro in libreria per guadagnarmi un extra, i ripetuti viaggi in ospedale per coliche paterne e i regali natalizi ancora da comprare, mi sono dedicata all'antica arte del biscotto, che non è mai come uno se la immagina. Ovvero è stata per me una faticaccia e confesso di aver largamente rimpianto la possibilità di confezionare tortine piuttosto che dedicarmi alla pasticceria secca. Ma ormai ero determinata come una schiacciasassi, pronta a frantumare ogni indecisione o tentennamento di sorta. 

Il post di oggi è dedicato quindi a uno dei biscotti natalizi per eccellenza conosciuto con molti nomi a seconda dei luoghi e delle tradizioni, ma che ovunque ha la peculiarità di essere speziato. 
I Lebkuchen appartengono alla tradizione tedesca e sono rappresentativi delle festività natalizie di tutta la Germania e Austria, anche se per l'esattezza si tratta di una specialità della città di Norimberga. Il nome pare derivi dal latino libum, focaccia, o dall'antico termine Leb-Honig che ha a che fare con la presenza del miele nell'impasto. Tuttavia l'esatta etimologia rimane ancora incerta e il folklore locale ha associato il termine a significati più vicini al sentire popolare: Leben (vita) o Leibspeise (cibo preferito). Mi piace immaginare che un impasto ricco di spezie e miele abbia a che fare con il piacere e l'amore piuttosto che con la derivazione latina del termine...

Ho realizzato i miei biscotti con due tipi d'impasti diversi, ovvero con uno già pronto e con un altro realizzato da me. Vedete quella bella carta dorata nella prima foto? Si tratta dell'impasto originale arrivato direttamente dall'Austria, praticamente pronto per l'uso! Traducendo gli ingredienti sul retro della confezione ho appurato che la farina utilizzata per realizzare i biscotti è in realtà farina di segale, dettaglio che non sono riuscita a rintracciare in nessuna ricetta o variante dei Lebkuchen trovata sul web in lingua italiana. Ma non mi sono fermata qui. Con una confezione di spezie già miscelate (e arrivate insieme all'impasto dall'Austria!) ho deciso di preparare la mia versione casalinga di questi biscotti natalizi, decorandoli con una semplice glassa di zucchero. Dall'impasto pronto ho invece ricavato dei biscotti che ho guarnito con mandorle sgusciate e glassa colorata. Ma andiamo con ordine...

Il giorno prima ho manipolato l'impasto pronto aiutandomi con della farina. Ho aggiunto dello zucchero a velo e una volta amalgamato ho formato una palla che ho lasciato riposare per un giorno intero a temperatura ambiente. Mi era stato suggerito di aggiungere anche della cannella durante la manipolazione, ma assaggiandone un pezzetto mi sono resa conto che era già molto speziato e quindi ho saltato il passaggio. Il giorno successivo non ho fatto altro che stendere il mio impasto - che nel frattempo si era caricato di un profumo molto intenso - e con un bicchiere e un coltellino realizzare i biscotti che ho fatto cuocere in forno preriscaldato a 150° per circa 15 minuti. In cottura si sono gonfiati e induriti, non a caso si consiglia di prepararli con almeno una settimana di anticipo e conservarli in un contenitore ermetico in modo che si ammorbidiscano senza diventare gommosi. Il miele infatti li rende duri come certi biscotti nostrani impossibili da rompere con gli incisivi!

Hanno un sapore decisamente speziato e forte, diverso da qualsiasi altro biscotto che io abbia mai mangiato. Risultato ben differente ho ottenuto con l'impasto preparato in casa e che alla fine mi sento di consigliare in quanto rimane più dolce, meno carico di sapori forti e, in un modo difficile da spiegare, anche più aromatico.

Ingredienti per circa 15 biscotti

125 gr di farina
42 gr di burro
85 gr di zucchero di canna
100 gr di miele
1/2 bustina di lievito
1/2 cucchiaino di bicarbonato
1 tuorlo
1/2 cucchiaino per ciascuna delle seguenti spezie in polvere:
chiodi di garofano, cannella, noce moscata, zenzero
50 gr di noci tritate
50 gr di mandorle tritate
1 bustina di vanillina
scorza di 1 arancia e 1 limone


Mescolare in una terrina la frutta secca tritata, la farina, il lievito, il bicarbonato, la scorza d'arancia e limone e le spezie. A parte fate sciogliere lo zucchero di canna con il burro tagliato in piccoli pezzi e il miele. Una volta ottenuto un composto omogeneo e senza grumi, aggiungerlo all'impasto secco insieme al tuorlo d'uovo e amalgamare fino a ottenere un impasto morbido e omogeneo. Lasciar riposare per una giornata intera in modo che i sapori si bilancino e allo stesso tempo si ispessiscano. Il giorno successivo (o se si preferisce la sera stessa) stendere l'impasto e realizzare le forme che più si desiderano: cerchi, stelle, alberi o qualsiasi cosa richiami il Natale. Far cuocere in forno preriscaldato per circa 15 minuti a 150°-160°. Una volta raffreddati preparare la glassa nel modo seguente:

Ingredienti per la glassa

80 gr di zucchero a velo
1 albume

Mescolare energicamente l'albume con lo zucchero a velo fino a ottenere un composto omogeneo e consistente. Aggiungere volendo del colorante naturale. A  questo punto decorare i biscotti e lasciar indurire la glassa per qualche ora, facendo comunque attenzione a non sovrapporli. Eccoli qui in entrambe le versioni!