domenica 26 agosto 2012

Torta all'amaretto con le pesche

Al titolo avrei voluto aggiungere una riflessione sulle parole e sulle distanze, ma ho lasciato correre. Quando s'inizia ad avvertire l'inutilità della comunicazione o il timore di dare qualcosa di se stessi - qualcosa di prezioso, vulnerabile, autentico - forse bisognerebbe smettere di chiamarlo "gioco". Ho difficoltà con le parole, con le persone e persino con me stessa, a volte. Sono una genuina rompipalle ma troppo ingenua per arrivare davvero a comprendere le persone. E non riesco a scrivere mettendo da parte le mie debolezze, per questo nel  mio rozzo modo di essere e di scrivere mi ostino a non voler comprendere l'artificio che le stesse parole nascondono. Ma che vuol dire? Semplicemente che odio prendermi troppo sul serio, ma quando smetto di farlo non riesco a tracciare una riga per terra, a darmi un limite, a stabile cosa dire e cosa tenere per me. In fondo mi chiedo perché dovrei farlo e che gusto ci sarebbe a costruire un dialogo fatto di ombre, in cui le persone - alcune, non tutte - arrivano sempre a metà e lo fanno anche a passo di danza, levitando. 

Io, invece, lievito. Come una torta. Come una torta all'amaretto con le pesche. 


Ingredienti:

per l'impasto
5 uova
2 etti di burro
200 gr di amaretti
3 cucchiai di fecola
3 cucchiai di farina
6 cucchiai di zucchero
100 gr di cioccolata fondente
1 bustina di lievito
per la farcia
5 pesche gialle e sode
40 gr di zucchero semolato
vino moscato q.b.
zucchero a velo q.b.



Questo dolce è la versione estiva della torta all'amaretto con cioccolato e panna, che converrete è molto meno sunny per questa stagione. L'impasto è quindi lo stesso, tranne per la farcitura di frutta. 

Prima di tutto sbucciare e tagliare le pesche a fettine sottili, avendo cura di lasciare una pesca per la decorazione finale. Metterle in una ciotola a marinare con lo zucchero e il Moscato o con un vino dolce a vostra scelta. Intanto preparare l'impasto come da ricetta precedente (copio e incollo per agevolare la lettura!):

 "iniziare sbriciolando gli amaretti ottenendo una farina abbastanza fina. Amalgamare lo zucchero con i tuorli delle uova fino a renderlo spumoso. Aggiungere il burro ammorbidito e continuare a mescolare. Al composto integrare gradualmente le farine con gli amaretti sbriciolati, il cioccolato tritato e il lievito." A questo punto, prima di unire le chiare montate a neve con un pizzico di sale, integrate al composto le pesche marinate. Infine unire le chiare e mescolare delicatamente con una spatola dal basso verso l'alto, lavorando l'impasto fino a renderlo omogeneo. "Ricoprire una tortiera con della carta da forno (o imburrarla e infarinarla) e versarvi il composto facendolo cuocere a forno preriscaldato a 160° per circa 50 minuti." Prima di sfornare fare sempre la prova dello stecchino, l'impasto è molto liquido e la cottura prolungata.

Fate raffreddare bene e decorate a vostro piacimento con la pesca tenuta da parte e lo zucchero a velo.





Si, io lievito. Le parole mi gonfiano proprio come una torta e non posso far altro che buttarle fuori. In fondo, continuo a crederci.

venerdì 24 agosto 2012

Tre Soldi e il mio Seitan con piselli e pomodoro


Non costa quasi nulla eppure è una cosa magnifica: coprite il fondo di un recipiente di vetro con un pugno di sabbia pulita e piantatevi alcune comuni pianticelle acquatiche, versateci sopra delicatamente alcuni litri d’acqua di rubinetto e ponete il tutto su di un davanzale soleggiato. Quando l’acqua si è purificata e le pianticelle hanno incominciato a crescere, mettetevi dentro alcuni pesciolini; o, ancora meglio, recatevi con un vasetto e con un acchiappafarfalle allo stagno più vicino, immergete alcune volte la rete e raccoglierete una miriade di organismi viventi. In quella reticella per me è ancor oggi rinchiuso l’incanto della fanciullezza.

Be’, le cose non sono andate esattamente così. Avevo si tutte le intenzioni di allestire il mio primo acquario nelle modalità descritte da Lorenz, ma non ne ho avuto il tempo. Mi sono ritrovata con un pesce rosso chiuso nella la sua sacchetta di plastica e il solito sputo d’acqua buono per una mezzora di vita. Non c’era tempo di far ambientare le piante o di andare allo stagno (già, ma quale?) con l’acchiappafarfalle (signori miei, qui facciamo tutti un salto indietro nel tempo). Quindi mi sono limitata a riempire la vaschetta di terriccio per acquari, comprare due piante vere sperando in un miracoloso quanto rapido adattamento e dare il benvenuto a Tre Soldi. Quei tre soldi che ho speso per acquistare il biglietto vincente. Speravo in realtà di liberare da quelle anguste gabbiette i pappagallini dallo sguardo intelligente o le paperelle che avrebbero spezzato il cuore a un sasso o quella coppia di tortore paralizzate dalla musica e dalla gente. Ma per tre soldi bisogna avere davvero molta fortuna o bisogna rassegnarsi a comprendere che le gabbie servono solo ad attirare lo sguardo e mettere mano al portafoglio. Nella mia smania da croceverdina improvvisata, allergica a tutto ciò che si trova dentro a una gabbia, ho deciso di fregarmene del buon senso e comprare il mio bilietto. E così ho lasciato i miei tre soldi, un insulto velenoso e mi sono presa il pesce.

Ora nell’acquario ci sono altri due inquilini della stessa specie a far compagnia al piccolo arrivato, comprati questa volta per un soldo soltanto e già belli grandi e panciuti. Pino e Tina, li ho chiamati, sebbene non sappia minimamente nulla della loro sessualità. A modo mio credo di aver voluto ricreare una famiglia e qui mi fermo perché il campo dell’inconscio non è il tema di oggi. 


Immagine presa dal web
Parlerò piuttosto del Seitan, che nella mia battaglia personale contro il consumo di carne rappresenta una discreta soddisfazione. Poco conosciuto o comunque poco utilizzato sulle nostre tavole, è invece un ottimo sostituto di bistecche e fettine che ci arriva dall’Oriente. Potevo limitarmi a comprarlo confezionato? Giammai, tanto più che la preparazione casalinga è meno elaborata di una crostata. Dovrò ovviamente perfezionarmi, testare altre farine e cucinare altre ricette, ma per il momento sono fiera del mio primo Seitan fatto in casa e lo consiglio anche a chi non ha smanie animaliste. Diminuire il consumo di carne – sostituendo le proteine animali con quelle vegetali -  non può che far bene al nostro organismo ormai saturo di “ciccia”.

Ma cos’è il Seitan? Nient’altro che glutine cotto. Per ottenerlo è sufficiente lavorare la farina con l’acqua in modo che ne fuoriescano l’amido e la crusca. Ciò che resterà di grigiastro e un po’ appiccicoso è appunto il glutine.

Solitamente – per una preparazione casalinga – non vale la pena iniziare con un quantitativo inferiore a 1 kg di farina, dal momento che la massa alla fine della lavorazione si sarà ridotta della metà. E’ possibile utilizzarlo subito o conservarlo in frigo per quattro, cinque giorni immerso nel suo liquido. Tuttavia è possibile ridurre le dosi di farina mantenendo le proporzioni dell’acqua.
 

Ingredienti:

per il Seitan

1 kg di farina integrale (o Manitoba che pare sia ricca di glutine)
6 dl di acqua fredda (o tiepida, a seconda delle versioni)
salsa di soia
spezie e odori a scelta

per il condimento

piselli
pomodoro in pezzi
1/2 cipolla
basilico
vino bianco
olio
salsa di soia (o sale)


Preparare il Seitan impastando la farina con l’acqua. Sulla quantità potrete regolarvi al tatto, ci sono farine che richiedono più acqua e farine che ne richiedono meno. Cominciate con una quantità inferiore al peso della farina e al massimo aggiungetela durante la lavorazione. Formate una palle e lasciate riposare a temperatura ambiente per una mezzora. Potete anche far riposare l’impasto dentro un contenitore pieno d’acqua in modo da agevolare l’estrazione del glutine. Successivamente ponete l’impasto dentro lo scolapasta e continuate a impastare con acqua a filo dal rubinetto. Vi accorgerete che l’impasto inizierà a perdere un liquido biancastro, simile a latte. Si tratta dell’amido, che volendo potete conservare poiché è ottimo per addensare minestre (invece della fecola pronta). Insieme all’amido anche la crusca si staccherà presto dal vostro impasto, lasciando un ammasso un po’ appiccicoso e ridotto della metà. A questo punto siete pronti per lessarlo. Chiudetelo in un fazzoletto di stoffa e buttatelo in pentola con salsa di soia e le spezie che preferite. La versione orientale sarebbe con l’alga kombu e lo zenzero, ma potete italianizzare a vostro piacimento. Io, per esempio, ho usato alloro, cipolla e chiodi di garofano come se fosse un brodo di carne. La salsa di soia va usata invece al posto del sale e lascia inoltre un retrogusto particolare, tipico di quella cucina cinese a cui siamo abituati.

Lessare per mezzora, scolare e affettare a uno spessore di 1 centimetro circa. Procedere con la lessatura per un’altra mezzora e infine conservare il tutto (liquido compreso) in un contenitore ermetico. Al momento dell’utilizzo basterà tagliarlo a seconda dell’uso: spezzatino, fettine o ragout. Vista la cottura precedente non sarà necessario cuocerlo a lungo e quindi è anche molto pratico per preparazioni veloci e stomaci affamati.

Potete provare la mia versione con i piselli. In una padella soffriggere la cipolla con l’olio, aggiungere i piselli precedentemente sbollentati, bagnare con il vino e far cuocere aggiungendo a metà cottura il pomodoro in pezzi, il Seitan ridotto a bocconcini e la salsa di soia (o sale – ma non entrambi perché la salsa è molto saporita). Portare a cottura e far riposare qualche minuto prima di servire.

Che sapore ha? Il glutine cotto – diciamolo – non è come il manzo o il maiale. Ma se ben insaporito da salse e spezie, nonché da un buon contorno, è un pasto buono oltre che completo che si presta – secondo il mio palato – a ottimi ragout e spezzatini da variare in mille modi diversi.

Purtroppo non ho foto perché ero sprovvista della digitale. Anzi, ne ho una molto sfocata e non vale neanche la pena proporla. Anzi, la propongo per dare un’idea del piatto, ma spero di sostituirla al più presto, quando magari mi lascerò meno andare all’improvvisazione senza mezzi fotografici adeguati!





sabato 18 agosto 2012

Caponata di verdure in bianco con patate e pane bruscato: La Commedia è Servita


If you want to sing out, sing out
And if you want to be free, be free
'Cause there's a million things to be
You know that there are

Cat Stevens

Da “grande” voglio essere come Maude. Ecco cosa penso ogni volta che guardo questa brillante commedia dei primi anni Settanta e immagino la mia vecchiaia. Ma, senza andare troppo lontano, vorrei essere già adesso come Maude e avere il suo spirito, la sua energia e quell’amore incondizionato per le cose che crescono.

Dammi una V dammi una I dammi una V dammi una I: VIVI

Maude mi ricorda due donne della mia vita molto importanti: le mie nonne. So che dentro di me c’è tanto di entrambe, sebbene sia difficile esprimerlo o comprenderlo fino in fondo. Allo stesso modo mi piace pensare che dentro di noi – ciascuno di noi – ci sia una parte di “Maude”, quella voglia e quel coraggio di vivere fatto di tante cose, semplicemente inesprimibili.

In questa commedia c’è un ragazzo, Harold, ossessionato dalla morte. E c’è un’arzilla e bizzarra vecchietta, Maude, ossessionata dalla vita. S’incontreranno un giorno e – infrangendo le Leggi dell’Amore (che stabiliscono chi si deve amare. E come. E quanto) – si ameranno. 
E’ difficile esprimere in parole tutto questo, anche se Cat Stevens ci è riuscito molto bene utilizzando la musica come strumento. Ancora più difficile esprimerlo in un piatto, un sapore, un odore. Ma non ho avuto più dubbi mentre, portando la forchetta alla bocca, ho sentito di aver trovato il modo per dirlo. Era tutto lì, in quel piatto. In mezzo ai peperoni e alle zucchine dell’orto, alla cipolla affettata finemente, alla melanzana fritta con olio e basilico e alle patate – croccanti e profumate di maggiorana e origano. I frutti della terra uniti da quella particolare forza che bilancia tutti gli opposti, nell’armonia dei sapori. Come in Harold e Maude, una commedia sulla varietà e la bellezza. Sulla perdita e l’incomprensione. Sulla paura. E la meraviglia. Poiché l’amore per la vita non ha età e non appartiene a nessuno in particolare: è l’insieme di ciò che siamo pronti ad accogliere dentro di noi senza pregiudizi e senza timori.


So che qualcosa – inevitabilmente – mi sfugge. Ma Maude è fatta proprio così, quando credi di aver compreso qualcosa di lei, ti sorprende con un nuovo sapore. Per dirla con parole sue, una volta che si ha la serie fondamentale, le variazioni sono infinite


Caponata di verdure in bianco con patate e pane bruscato
 

Ingredienti per due persone:

1 peperone giallo
1 zucchina grande
1 melanzana
1 patata
1 pomodoro san marzano
1/2 cipolla
2 rametti di maggiorana
1 rametto di origano
1 rametto di basilico
sale
olio
aglio
due fette di pane casereccio
 
Tagliare melanzana, zucchina, peperone e patata a cubetti non troppo grandi. Iniziare soffriggendo i cubetti di melanzana in un padellino con uno spicchio di aglio affettato e le foglie del basilico. Cuocere a fuoco vivace in modo che mantengano la croccantezza. Salare e tenere da parte. In una casseruolina sbollentare qualche minuto i cubetti di patata e ripassarli successivamente in padella con olio, sale, maggiorana e origano. In questo modo verrà a formarsi una gustosa crosticina mentre l’interno della patata resterà morbido. Portare quasi a cottura. Nella padella principale affettare la cipolla, soffriggere qualche minuto con olio e aggiungere i peperoni e  le zucchine dopo un breve intervallo di tempo. Salare e – quando le verdure saranno quasi cotte – aggiungere le patate e le melanzane tenute da parte. Per ultimo tagliare il pomodoro grossolanamente, farlo rosolare in un padellino con pochissimo olio in modo che venga abbrustolito. Incorporare al resto delle verdure, mescolare e lasciar riposare i sapori, in modo che leghino tra loro. 

In una padella antiaderente – o al forno – bruscare il pane e servirlo caldo insieme alle verdure.

Questo piatto per me rappresenta l’insieme, l’omogeneità e la straordinaria varietà delle esperienze umane, combinabili tra loro ma unite insieme soltanto dall’amore.



 Con questa ricetta partecipo al contest La Commedia è servita! del blog Andante con gusto di Pat, che ringrazio per la bellissima idea e la scelta inusuale del soggetto: è stata una vera sfida! Cosa aspettate a servire la vostra commedia?



lunedì 13 agosto 2012

Nuove letture, paesaggi marini e Fiori fritti con crudo e brie

Ieri ho iniziato un nuovo libro. C'è un luogo - un luogo speciale - in cui amo particolarmente iniziare nuove letture, tanto che aspetto proprio quel momento per farlo. Mi piacerebbe fosse sempre così, spesso vorrei dare alle mie letture il giusto paesaggio, la giusta atmosfera. Ma raramente capita e mi "adatto" anche a luoghi più convenzionali, come il vagone di un treno affollato, il divano di casa o la stessa libreria dove generalmente non arrivo alla cassa senza aver letto almeno la prima pagina. Ma la spiaggia - non una qualsiasi, ma proprio quella che dico io - resta il mio luogo prediletto. Non per tutti i libri, s'intende. Alcuni però richiedono il mare e l'orizzonte per dirsi. E' stato così per Le balene lo sanno in una calda e tranquilla mattina di luglio, cinque ombrelloni sparpagliati su tutta la lunghezza della spiaggia, silenzio, onde che s'infrangono, sensazione insolita di essere partecipe di qualcosa di bello - un privilegio inaspettato - e gabbiani, sassi, conchiglie rotte, pezzetti di legno, verde, blu e tutte le tonalità di terra e cielo. 

Ieri sono tornata a quella spiaggia ma il paesaggio era un po' diverso. Calda e appena ventosa mattina di agosto, gente aggrappata fino all'ultimo scoglio, ombrelloni a decine come fiori finti dentro un vaso di terra. Il mare laggiù, da qualche parte oltre il montarozzo di gente. Sempre bello e limpido per fortuna. E pieno di pesci e paguri (vivi, straordinariamente, anche se pronti ad essere sterminati dalla marmaglia che evidentemente non riesce a rapportarsi con un animale che si muove). Il mio passatempo preferito - oltre a quello d'iniziare letture che chiamerò privilegiate - è quello di munirmi di maschera, infilare la testa sott'acqua e osservare. Sotto c'è tutto un altro mondo, un organismo vivente che se ne sta per i fatti suoi, dolcemente cullato dalle onde (quando il mare è calmo) e indifferente - per quanto gli sia concesso - ai nostri piedacci noncuranti. Quando alzo la testa per prendere fiato ecco cosa vedo: ominidi tutati e palmati con in mano fiocine di varie misure e dimensioni; bambini con secchielli pieni di animaletti destinati a finire nella tazza del cesso entro poche ore; alghe estirpate dalle rocce per giocare a tirarsi dietro "cose appiccicose"...

L'uomo ha un istinto perverso per i nostri giorni, ovvero quello del cacciatore che torna alla sua grotta con un pezzo di montone sulla spalla. Nell'altra mano tiene ovviamente la clava.
Le donne invece sono troppo impegnate a spalmarsi di crema per ammirare il paesaggio intorno, figuriamoci quello sott'acqua.
Ma io fortunatamente ero in buona compagnia, il professor Lorenz mi parlava di pesci, taccole e oche selvatiche. Potevo trovare un posto migliore per iniziare L'anello di Re Salomone? Penso proprio di no.


Piccola premessa: le mie ricette stanno virando felicemente verso una cucina vegetariana. Per me è molto difficile tuttavia riuscirvi. Non riesco a eliminare la carne dall'oggi al domani, ma posso tentare di diminuirne gradualmente il consumo. Si tratta di una scelta personale dettata dalle mie letture che mi tengono documentata e aggiornata sul mondo e sullo sfruttamento animale. E più leggo, più cresce in me una consapevolezza e allo stesso tempo un dubbio su scelte che non ho mai fatto - come quella, appunto, di rinunciare alla carne. Mi piacerebbe che questo fosse il primo passo per arrivare a una coerenza di cui sempre più avverto il bisogno. Più difficile ancora sarà rinunciare ai derivati animali, o almeno a quei derivati che provengono dalla cosiddetta "industria del cibo". Ma un passo alla volta credo sia il modo migliore d'iniziare.

Ingredienti (per circa 20 fiori):

20 fiori di zucca
prosciutto crudo (1/2 fetta a fiore)
formaggio brie
300 gr di farina
33 cl di birra
olio d'arachidi
sale

Questa è una variante del classico fiore farcito con alici e mozzarella. E qui parte il ringraziamento a mia zia che mi ha indicato la ricetta. 

Pulire delicatamente i fiori ed eliminare il pistillo interno. Riempirli con un dado di brie arrotolato in una fettina di prosciutto (o anche meno se la fetta è maxi!). Preparare la pastella con la farina e la birra ghiacciata versata poco a poco fino a che non risulti un amalgama senza grumi. Salare.
Scaldare l'olio in un contenitore per fritture e quando sarà adeguatamente caldo versare i fiori - che avrete ricoperto di pastella - nell'olio bollente. Friggere qualche minuto e scolare su carta assorbente da cucina.
Buoni anche tiepidi e accompagnati da un vinello fresco e un'insalatona sciogli-fritto!!

martedì 7 agosto 2012

Lasagna di verdure

Tra una lettura e l'altra, tra un fiume di parole e un groviglio di pensieri, torno a parlar di cucina. E lo faccio con una ricetta che riprende il tema della parmigiana all vegetable che ho pubblicato poco tempo fa.
Mi piace combinare le verdure in tutti i modi possibili e la stagione offre una vasta scelta, tutta colorata, per farlo. Attingo spesso dall'orto casalingo e utilizzo quello che ho a disposizione. Ciò mi permette di modificare e personalizzare molte ricette e l'improvvisazione ha in sé qualcosa di magico, di possibile.
Questa ricetta è quindi un felice connubio di sapori - alcuni più delicati, altri più decisi - uniti da una morbida besciamella e da una pasta fatta in casa. 


Ingredienti per 6-8 persone

per il ragù di verdure

1 porro
1 peperone rosso
3 zucchine romanesche
2 carote
15 fiori di zucca
piselli (io sono andata a occhio...diciamo una buona manciata)

per la pasta (12 sfoglie)

4 uova
400 gr di farina
1 goccio d'acqua
(vedere sezione Impasti)


besciamella (vedi ricetta)
500 gr di mozzarella
parmigiano
sale 
olio
noce moscata

Tagliare tutte le verdure a cubetti, ridurre il porro a rondelle sottili e soffriggerlo in padella con l'olio. A parte sbollentare i piselli. Cuocere le verdure separatamente a seconda dei diversi gradi di cottura: iniziare con i peperoni, aggiungere dopo cinque minuti le zucchine, ancora dopo qualche minuto le carote, i piselli sbollentanti e proprio alla fine i fiori di zucca. Le verdure dovranno essere al dente prima di essere messe al forno.

Precedentemente avrete preparato la besciamella e le sfoglie di pasta, magari anche il giorno prima in modo da spezzare il lavoro (spesso adotto questo sistema).

 Infine formare gli strati: pasta, besciamella, verdure, parmigiano e mozzarella (a fettine o tritata) fino a terminare con uno strato di verdure e una generosa manciata di parmigiano. Infornare fino a cottura e servire dopo una decina di minuti, in modo da far "consolidare" il condimento.

Sulla mia tavola ha riscosso un notevole successo, il problema è che adesso vogliono tutti il bis...


lunedì 6 agosto 2012

Storie di viaggiatori occasionali e pendolari assuefatti

Succedono milioni di cose nel mondo e io sono tutta presa da questo piccolo universo interiore che lotta contro se stesso e i riflessi del suo inconscio. D'altra parte sono una di quelle persone che quando mette il naso fuori - proprio in quel mondo lì - trova subito qualcosa di brutto di cui parlare, cercando d'infervorare la placida e tranquilla vita del prossimo. Un esempio? 

Ieri ero sul treno, la solita tratta infernale che collega questo paesotto provinciale (oddio, ci risiamo) con la cittadozza. (Sul provincialismo tornerò in seguito, ma non lo prometto). Mi piace pensare che le cose altrove funzionino a meraviglia...Da queste parti i costi del trasporto pubblico sono aumentati ma il servizio è rimasto lo stesso, se non peggiorato. Treni sporchi, guasti, maleodoranti, perennemente in ritardo. Biglietterie elettroniche fuori servizio, sale d'attesa imbrattate di urina, personale ferroviario svaccato e poco professionale. Per il momento non mi viene in mente altro. 
Merditalia, la chiamo io.
Ieri ero proprio su uno di quei treni lì, prevista partenza con 15 minuti di abituale ritardo. Aria condizionata a singhiozzo, giusto per non farci mancare nulla. Nel mio vagone un gruppo di ragazzi americani in vacanza con la famiglia - i genitori nello scomparto adiacente. Arriva il controllore - premetto che ieri era domenica, treno mezzo vuoto - che schioda il suo culo salariato solo nei giorni festivi perché in tutti gli altri rischia il linciaggio. 

Nel verificare i titoli di viaggio dei ragazzi si accorge che uno di loro si è dimenticato di obliterare il biglietto. Cosa farebbe una qualsiasi persona con un minino di elasticità e buon senso? Mostrerebbe al ragazzo la sua dimenticanza (possibilmente nella sua lingua e non a gesti come il suddetto) e capirebbe che non si tratta di negligenza o furboneria, ma semplicemente di una svista. Tutta la sua famiglia ha timbrato tranne lui. Forse era al cesso, forse stava comprando un panino. Forse non ci ha fatto caso. Forse. Ma cosa si è messo a fare il NostroSolertissimoDipendenteDelPubblicoTrasporto? Non gli sembrava vero di dare sfogo a tutte le sue frustrazioni con una facile multa domenicale, servita su un piatto d'argento. Al suo posto mi sarei vergognata, come mi vergogno ogni volta che sull'autobus affollato e senza aria condizionata incrocio gli occhi di stranieri allibiti e divertiti - un umorismo incredulo, grottesco. Si, faccio eco con lo sguardo, this is ALL true. 

Quando arriva il mio turno faccio presente al controllore di quella che a me sembra una vera porcata e lui mi risponde che non sono affari miei, che obliterare è un obbligo anche per gli stranieri, che ne va della sicurezza dello stesso viaggiatore  per via dell'assicurazione in caso di incidenti e blablabla. Gli rispondo che la compagnia per la quale lavora dovrebbe solo chiedere scusa per il ritardo e lo schifo del vagone e che per lo stesso principio io dovrei essere risarcita ogni volta che arrivo tardi a causa di malfunzionamenti e guasti elettrici. Probabilmente le direttive dall'alto sono chiare: spremere dove si può, dal momento che aumentare i costi non è bastato. 

Sono stanca, si, veramente stanca. Stanca delle cose brutte che sono intorno a me. Sono una di quelle persone che - oggi, ora, in questo momento - quando può non paga il biglietto del treno per principio. Ma sono anche una di quelle persone che vorrebbe pagarlo e vorrebbe il servizio per il quale sta pagando. Ho scritto "quando posso", perché nonostante tutta la rabbia che si sente in giro, questo paese non è ancora pronto a salire in massa sul treno senza convalidare il biglietto. Come non è pronto per cose molto più grandi di questa. Un povero stronzo senza biglietto resta un povero stronzo, ma cento, duecento persone senza biglietto sono molto di più. 

Il treno arriva alla stazione successiva, il ControlloreSolerte prosegue con il suo lavoro e mi lascia lì a bollire di rabbia. E io la porto dentro questa rabbia, chiedendomi come possa trasformare le cose brutte in cose belle, cercando di controllarla, volgerla in qualcosa di costruttivo. Perché distruggere non basta e io sono stanca anche di questo. Stanca di assuefarmi e convincermi che non c'è nulla da fare.