Qualche giorno fa sulla spiaggia
ho trovato questo. Un comune sasso rosicchiato da qualche animale o dal lento
scavare delle onde. Sembra un volto e a me ricorda molto il robot dalle lunghe
braccia di Laputa, opera terza di Miyazaki datata 1986. In Italia il film
è arrivato solo nel 2004 in versione
home video. Abbiamo dovuto attendere il 2012 per vederlo sul grande schermo e in
una versione doppiata per l’occasione. Chi conosce il genio di Miyazaki sa bene
che i suoi film d’animazione non sono solo per bambini ma forse neanche
completamente per adulti.
Io l’ho conosciuto tardi e per
puro caso. Ho visto per la prima volta Il castello errante di Howl dopo la sua
uscita nelle sale cinematografiche e ne sono rimasta molto colpita. Be’,
colpita...Avevo due occhi spalancati come quelli dei bambini quando qualcosa li
meraviglia o li stupisce. E chi se l’aspettava un castello mosso da un demone
buono legato al giuramento di un ragazzo che voleva soltanto essere libero?
Libero da ogni forma d’educazione che sminuisce il talento, imprigionandolo in
un codice di obblighi e doveri – quello stesso codice che rende l’uomo incline
ad una guerra “giusta” e “necessaria”, una guerra contro l’uomo, la natura, la
vita.
Miyazaki è un pacifista e lo è fin
dai tempi di Conan (c'era una volta una città in quell'isola laggiù. C'era una via che passava di là, proprio dove vivi tu. C'era allegria, c'era felicità ma la guerra è una follia). Contrario ad ogni forma di guerra e violenza in nome di un
progresso indiscriminato e pieno di brutture. Mi piace pensare che i piccoli protagonisti
dei suoi film non rappresentino l’innocenza …ma la memoria. I bambini ricordano
anche ciò che non sanno. E’ qualcosa che fa parte di un’innata appartenenza
alla terra e alla vita e che con il tempo – crescendo – si dimentica. Anche il
nostro Dino Buzzati – nei suoi romanzi pieni di spiriti e spiritelli, boschi e
montagne – era convinto di questo.
Mi rendo conto, scrivendo, di
aver tralasciato molto di ciò che in realtà volevo buttare fuori da quella
cavità profonda da cui gorgheggia l’emozione. C’è qualcosa di difficile nella
scrittura, qualcosa che m’impedisce di essere semplice.
Ho poggiato il sasso sul mio
comodino. Ogni volta che lo guardo sorrido e penso che anche se non è caduto da
nessuna città sospesa nel cielo, arriva però da un altro passato.
E’ solo un sasso, mi dico. Ma non me lo dico sul serio.
E’ solo un sasso, mi dico. Ma non me lo dico sul serio.
In certe notti serene, con la luna grande, si fa festa nei boschi. E’
impossibile stabilire precisamente quando, e non ci sono sintomi appariscenti
che ne diano preavviso. Lo si capisce da qualcosa di speciale che in quelle
occasioni c’è nell’atmosfera. Molti uomini, la maggioranza anzi, non se ne
accorgono mai. Altri invece l’avvertono subito. Non c’è niente da insegnare al
proposito. E’ questione di sensibilità: alcuni la posseggono di natura; altri
non l’avranno mai e passeranno impassibili, in quelle notti fortunate, lungo le
tenebrose foreste, senza neppur sospettare ciò che là dentro succede.
Dino Buzzati – Il segreto del
bosco vecchio
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