Cibo da strada, proprio lui. Ultimamente un mio pallino fisso che si ricollega alla voglia di incrociare sapori e odori dietro ogni angolo asfaltato. Una voglia che è cresciuta con trasmissioni girovaghe in cui dietro ogni angolo pare esserci davvero un chioschetto - a volte anche simpaticamente arrabbattato - in cui qualcuno si da da fare con pentole e tegami. Il tutto condito da un tipico crocchio di gente di ogni stampo: ragazzi, lavoratori, passanti e qualche turista che non si lascia intimidire. E io m'immagino sempre in giro per il mondo, sperduta in qualche viuzza di città o paese, catturata da un profumo come il personaggio di un fumetto. Sarà banale, trito e ritrito, ma per quanto raffinato possa essere un ristorante, non c'è cibo da strada che possa fargli concorrenza. Perché è lì che la gente mangia, è lì che s'incontrano i veri sapori. Magari un po' rustici, poco raffinati, ma autentici. Il cibo poi - pensateci - ha molto a che fare con l'odore che uno si porta addosso: spezie e condimenti restano nell'aria, a voltre traspirano dalla pelle, accompagnandoci. Se si torna da un viaggio e si profuma ancora di dopobarba o deodorante, forse qualcosa di speciale è mancato.
Ma poi ve lo viene a dire una che ha viaggiato solo con la fantasia. Anche se con la fantasia mi sono presa tante libertà, tutte da leccarsi le dita.
In Italia - e a Roma in particolare, la mia città - lo Street Food non ha aderito come in tanti altri paesi, soprattutto orientali. Si, abbiamo i nostri paninari, i nostri pizzettari a taglio, i nostri porchettari o venditori di specialità locali, ma quel modo tipico di cucinare per la strada, offrendo piccole prelibatezze o piatti fumanti di qualcosa da assaggiare assolutamente, da noi proprio non c'è. Il cotto e mangiato forse non appartiene alla nostra cultura o forse soltanto alla nostra epoca. Epoca in cui tutto deve essere segnato su un'etichetta che non legge nessuno (correggo: che leggono in pochi) e snaturato a tal punto da diventare quasi sintetico. Ci preoccupiamo tanto della provenienza di questo e quello ma alla fine la roba che finisce sulla nostra tavola resta un mistero. Chi manipola il cibo che mangiamo? Ci piace pensare che sia qualcuno con i guanti in lattice e la cuffietta di tela in testa. In ogni caso una tristezza. La cucina da strada - pur essendosi evoluta ed essendo diventata anche "raffinata" (vedi in America, in cui i moltissimi camioncini attrezzati per lo street food si sono specializzati in cucine sempre più elaborate - vuoi per la concorrenza o per l'intraprendenza delle nuove generazioni) - mantiene ancora un rapporto diretto, vicino a chi mangia. Spesso l'odore che cerchiamo è in una bancarella con un pentolone che ribolle di qualcosa di sconosciuto o dentro un panino farcito di salse piccanti o dietro l'angolo della strada, in cui mangiare diventa anche pretesto per avvicinarsi all'altro.
Sognando lo Street Food, io non esiterei a servire nel mio baracchino improvvisato dei supplì al telefono tipicamente romani. E per andare incontro alle esigenze di tutti, proporrei anche dei supplì vegetariani, come questi.
Ingredienti per circa 8 supplì:
300 gr di riso da risotti
3 uova
1/2 cipolla
passata di pomodoro
sale
mozzarella
parmigiano
pangrattato
brodo vegetale
olio di semi
Piccola e doverosa digressione. Il supplì romano è di forma ovale, preparato originariamente con le rigaglie di pollo e comunemente con del semplice macinato. A differenza di arancini e simili, non contiene altri ingredienti oltre alla mozzarella che fondendosi crea il tipico filo a cui si deve la caratteristica del nome.
Qualsiasi altro preparato di riso, non è supplì. Quindi, anche il mio non si può considerare un autentico supplì romano ma sicuramente è un autentico supplì romano vegetariano, direttamente dalla cucina di casa mia.
Sembra che ognuno abbia la sua "dritta" per preparare un supplì veramente D.O.C. e se così non fosse mi dispiacerebbe. Avete notato che anche le ricette più semplici sono conosciute in molteplici varianti? La polpetta di riso non potrebbe fare eccezione. Quindi, c'è chi sostiene che la panatura debba farsi con uovo e pastella, chi cuoce il riso insieme al macinato, chi lo lessa a parte, chi...be', chi si assicura di assaggiare tutte le versioni e provare sulla sua pelle i molti modi in cui mangiare supplì! Io l'ho preparato così:
Lessare il riso nel brodo vegetale (non nel dado se possibile, ma in vero brodo in cui sbizzarirvi con ortaggi ed erbe a vostro piacimento) e scolarlo al dente. E' importante non stracuocere il riso che nella polpetta finirebbe per diventare un ammasso papposo, buono solo se avete perso tutti i denti. O se ancora dovete metterli, ma forse in quel caso il supplì non fa per voi. Il vero supplì romano si prepara invece come un risotto, ovvero aggiungendo brodo di carne man mano che cuoce.
In una padella soffriggere la cipolla tritata con l'olio, aggiungere la passata di pomodoro (ovviamente io sono andata ad occhio!), salare e portare a cottura aggiungendo solo un mestolo di brodo o acqua.
Quando il riso è al dente, scolarlo e amalgamarlo al sugo. Togliere dal fuoco e integrare le uova. Farlo raffreddare. E qui apro un'altra parentesi doverosa: è bene prepararsi con un po' di anticipo, in modo tale che il riso si raffreddi e compatti bene, altrimenti si rischia di avere un supplì slegato. Aggiungere il parmigiano e mescolare bene. Stendere il riso in un piatto bello grande e farlo raffreddare. Dopo qualche ora, lavorare il composto ottenuto formando la classica forma ovale e inserendo un dadino di mozzarella all'interno. Passare ciascun supplì nel pangrattato avendo premura di ricoprirlo a dovere. A questo punto friggere in abbondante olio di semi, servire caldo, spaccare a metà e far filare la mozzarella.
La tipica faccia da supplì è quella da ustione, che vi ho risparmiato. Vi consiglio solo di tenere le due metà con entrambe le mani o spariranno dal vostro piatto...